Storia e menzogne intorno alle responsabilità di Pereira, Edipo, Macbeth e perfino Darth Vader

«Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d’estate. Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione, non sapeva che fare, il direttore era in ferie, lui si trovava nell’imbarazzo di mettere su la pagina culturale, perché il “Lisboa” aveva ormai una pagina culturale, e l’avevano affidata a lui. E lui, Pereira, rifletteva sulla morte.»
Inizia così la sua avventura, con una giornata di sole e il pensiero della morte. Sostiene Pereira di non averlo voluto, di averlo conosciuto per caso, o meglio di averlo cercato per caso. È stato per un buffo scherzo del suo inconscio, di qualche anima cospiratrice e ribelle affamata di gioventù e giustizia. Il dottor Pereira non voleva saperne niente di politica, neanche con la censura che stringe e la dittatura salazarista che incombe. No, la politica non è affar suo. Eppure dentro di lui, dopo tanto tempo, c’era ancora qualche anima capace di scandalizzarsi, di prendere posizione, un’anima che ha sempre abitato lì, spalla a spalla con la paura di morire, l’accidia e la nostalgia di sua moglie.
Sostiene Pereira di essere un po’ come Edipo e Macbeth e anche Darth Vader. Quelli che insomma nel loro destino ci sono cascati con tutte le scarpe mentre correvano via da lui. Ma è sempre lecito domandarsi se questi entieroi scappino per scappare, o invece per ingannare l’inevitabile – cioè in altre parole, per poter dire alla fine, coscienza linda, di averle provate tutte.
Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi non è solo un grande romanzo storico, ma anche un libro su come gli umani fanno le scelte che fanno, e come scendono a patti (oppure no) con le loro responsabilità. Perché in fondo anche desiderare è una responsabilità. Immaginare un futuro diverso da quello che ci viene messo di fronte, inscritto nella storia, nel fato, disciolto nel nostro sangue, ogni tentativo di deviare dalla strada già battuta e illuminata è una responsabilità. E Pereira, per tutta la vita fedele alla defunta moglie, al lavoro di cronista, al Portogallo, al ricordo di una gioventù elettrica ma docile – Pereira ammette di aver alla fine deviato, eppure sostiene che si è trattato di un caso.
Lui, Pereira, sostiene che è stato proprio il pensiero della morte, in quella magnifica mattina d’estate a Lisbona, a spingerlo a incrociare il percorso del giovane Monteiro Rossi. Ed è un vero peccato che Monteiro Rossi sia morto, perché così adesso ci tocca fidarci di quello che sostiene Pereira, e c’è rimasta soltanto la sua versione. Comunque, ammesso e non concesso che decidiamo di credergli, resta il fatto che il dottor Pereira, per sua stessa ammissione, era stato avvisato. La sua coorte delle anime l’aveva scovata un medico che aveva oracolato tutto dal principio come le tre streghe. Con questa sua bizzarra teoria della coorte delle anime sembrava dargli pure ragione. «Va bene – sembrava dire – se preferisci dare la responsabilità a qualcuno che non si chiama “io”. Possiamo fare anche così. Metti pure che c’è un’altra anima, metti pure che ce ne sono altre dieci o diecimila che aspettano in uno spazio che è sia là fuori che qui dentro o da qualche parte a mezza via. Va bene così, davvero, lo capisco. Se non vuoi accettare il cambiamento che è sempre un’opzione, se non vuoi accettare la tua stessa enormità (non sei più un’anima ma tutta una coorte, capisci?), se non ci riesci proprio e hai bisogno di toglierti via qualche pezzo per poter chiamare questo “io” e quello “altro” come se non fossero tutte parte di te, tutto te… ma va bene anche così. Ecco una bizzarra teoria che fa al caso tuo.» (Concorde Paul B. Preciado, che ha scritto: “Quello che denominiamo soggettività non è altro che la cicatrice lasciata dal taglio della molteplicità che saremmo potuti essere.”)
E in fondo era solo una teoria. Un disegno scivolato in mezzo alla concatenazione degli eventi, al caso, alla sfortuna, al sole di Lisbona e al pensiero della morte. Così sostiene Pereira.