Bisogna far presto, prima che la candela si spenga. Fuori piove, le gocce fredde picchiano contro il tetto di lamiera della baracca. Dentro, nascosti nel buio umido, tutti si abbracciano le ginocchia e piagnucolano per qualcuno.
Il Capitano scatta in piedi, si avvicina alla candela al centro del cerchio. Gli si disegnano in faccia ombre nere che lo fanno sembrare un orco, anche se in realtà il Capitano è uno dei buoni.
«Basta autocommiserarsi,» tuona e sussurra allo stesso tempo. Usa sempre parole tipo autocommiserarsi, che nessuno sa esattamente cosa vogliano dire… «È tempo di fare quel che va fatto!»
Mi guarda, con gli occhi che scintillano, neri all’ombra delle gote. Alzo la mano, ma Puccio mi colpisce col gomito spigoloso tra le costole.
Un altro compagno è morto ieri, il padrone l’ha arso vivo. Ci ha ordinato di portarlo da lui e poi l’ha messo al rogo come un demonio. Io c’ero, posso giurare che l’ha bruciato.
Qualche ora dopo il tramonto, il Capitano ha chiamato a raccolta l’assemblea. Io però ero già là, sono arrivato prima ancora che finisse tutto il passaparola; non avevo chiuso occhio per via del silenzio. Quando il capitano dorme, lo senti russare dal naso, vigoroso come il belare dei caproni; stanotte invece taceva, la baracca era completamente silenziosa, e a ogni raffica di vento ero pronto a saltare in piedi. Appena sono cominciati i brusii, ho capito che era meglio alzarsi. Il Capitano aspettava immerso nel buio, seduto su una cassa; lo sentivo grattarsi il pizzetto, ispido come una paglietta di ferro.
Gli altri arrivavano a due o tre per volta, frusciando dentro i vestiti di carta crespa. Tutti muti, si sono seduti in cerchio sul pavimento, e allora il Capitano ha acceso la candela, l’ultima minuscola candela che è rimasta. Tutti si guardavano i piedi esausti e non avevano voglia di ascoltarlo.
Per fortuna ha cominciato a piovere, ed è sembrato che il Captano parlasse un po’ meno da solo.
A Puccio non piace fare quel che va fatto. Crede che, siccome è grande e grosso, toccherà a lui la parte del fare.
«Forse è un po’ presto,» dice, «dovremmo aspettare ancora qualche giorno…»
«Aspettare che ci uccida tutti?» sbotta Rosaura. Siede accanto al Capitano e le gonne che le scendono sulle ginocchia lasciano scoperti i piedini pallidi di abete.
«Calma calma,» dice Puccio. Di solito aggiunge: «Non facciamone una tragedia», ma a Rosaura non si osa a dirlo.
Rosaura ha perso tutti quanti dall’inizio dell’inverno, cioè da quando il padrone ha cominciato ad accopparci come bestie. «Dobbiamo fermarlo subito!»
Il Capitano le rivolge uno sguardo benevolo. «Dobbiamo essere astuti.»
La fiamma della candela tremola, poi si ferma e tremola di nuovo negli occhi di tutti i compagni.
«È tutta colpa di quel ragazzo,» mugugna Rosaura.
Un altro le fa eco, ma con tutte le bocche immerse nel buio, non si può indovinare ha parlato. «C’è di mezzo quel ragazzo,» dicono. È vero, era presente ieri quando il padrone ha messo al rogo il nostro compagno. Forse è stata una sua idea… «Lo abbiamo accolto come uno di noi, e lui ci ha traditi,» si lamentano. «È così!» dice qualcuno.
Rosaura si avvicina alla candela. Ormai non è altro che un basso dischetto di cera pallida, che con tutte le sue forze cerca di mantenere la fiamma sospesa da terra, viva.
«E lo sapete che cosa ha fatto il padrone?» tuona Rosaura. «Gli ha dato dei soldi!»
Puccio sobbalza. Sì, Rosaura dice la verità, io c’ero, è andata proprio così.
La fiamma tremola, illumina tutte le facce dei compagni seduti in circolo, smunte e minacciose come spettri.
Ah, noialtri lavoriamo duro, estate e inverno, tutti i giorni dall’alba al tramonto, e col sorriso per di più, e mai che il padrone ci dia dei soldi! La sera siamo così esausti, con tutte le giunture che scricchiolano, che non riusciamo neanche a pensare a vendicare i nostri amici. Basta guardarci, con le schiene spezzate appoggiate alla lamiera, affamati e avviliti, che ci prepariamo a dormire nella sabbia, a coricarci senza neanche cambiare i vestiti, tanto non ce n’è. E per di più, per colpa sua, stiamo bruciando la nostra ultima candela.
Qualcuno sta piagnucolando: «Lo abbiamo accolto come uno di noi!»
«È un traditore!» grida Rosaura.
Traditore! Quei soldi spettavano a noi, il ragazzo ce li ha rubati.
Si è levato un brusio che si confonde col rumore della pioggia. Adesso sappiamo che dobbiamo fare un piano. Il Capitano e Rosaura si scambiano uno sguardo. Sono gli unici che sanno come si fa un piano.
«Che cosa facciamo?» mi azzardo a chiedere.
«Andiamo a prenderlo,» dice Rosaura, «e gli facciamo fare la stessa fine del compagno che è bruciato vivo.»
«Andiamo a prenderlo!» le fa eco una voce roca.
Alcuni si alzano in piedi. È questione di minuti prima che la fiammella si spenga. Ma il Capitano solleva un braccio e fa segno a tutti di restare fermi. Nella baracca torna il silenzio. Poi il Capitano si rivolge a Rosaura: «Sei sicura di quello che dici? Hai visto il padrone mentre dava i soldi al ragazzo?».
Rosaura si volge verso di me. «Sì,» rispondo al posto suo, «quattro monete d’oro.»
Il capitano si gratta il pizzetto ispido. «E perché mai gliele avrebbe date?»
Tutti guardano intensamente Rosaura, gli occhi che brillano nella penombra come quelli dei topi. Lei scuote le spalle nel vestito di carta crespa. «Per ricompare la giubba al suo babbo,» risponde.
Tutti tacciono. La pioggia picchia forte sul tetto. Forse entra un soffio di vento. La fiammella si affievolisce, tremola e poi si spegne.
«Andiamo a prenderlo lo stesso vero?» mi azzardo a chiedere. L’oscurità mi risponde con la voce del Capitano. Dice di star zitto mentre lui riflette. Nel buio qualcuno dice: «Andiamo.»