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Contro l’essenzialismo trans*

🕒 6 minuti di lettura

Qualche giorno fa accennavo a un lavoro su un articolo che riguarda la socializzazione delle persone trans-binarie, non binarie e gender questioning nelle scuole superiori del Regno Unito. Durante l’esposizione di questo lavoro è (ri)emerso un punto problematico che si trova spesso nei discorsi portati avanti sia all’interno che all’esterno della comunità trans*: nel definire genere e identità di genere si è parlato di una forma innata, un verità interiore, che sarebbe appunto l’identità di genere.

Non intendo delegittimare l’esperienza di quelle persone trans* che vivono e si raccontano in questo modo. Ma allo stesso tempo, sono anche unə studente di sociologia, e trovo inaccettabile parlare di identità di genere innata e altre forme di essenzialismo di questo tipo, perlomeno per quello che riguarda la sessualità.

In sociologia sappiamo da molto tempo che tutte le forme di identità sono socialmente costruite (e la domanda resta: come?). Non c’è una “identità vera” che si nasconde al di sotto delle costruzioni sociali, ma stratificazioni di pratiche che acquistano significato solo attraverso la condivisione, cioè nelle relazioni.

Senz’altro esistono alcune forme storiche di teoria queer, come quelle che si rifanno innanzitutto a Freud e Marx, che ritengono che la società operi in maniera esclusivamente repressiva nei confronti di una forma di “vero io” e di “vero desiderio”. Tuttavia, dopo queste teorizzazioni c’è stato molto altro. Riprendo solo, banalizzandolo inevitabilmente, Michel Foucault, e l’idea che il potere non è solo una forma repressiva ma è innanzitutto una forma produttiva di azioni, di identità e di soggettività. Ogni soggettivazione è intra-sociale, e proprio per questo è in rapporto dialettico con le forme di potere specifiche del contesto in cui emerge.

Così le nostre identità di genere e le nostre identità trans* sono forme resistenti al binarismo di genere, ma possono esistere e rendersi riconoscibili in questi termini solo al suo interno. Il punto quindi non è se esistono o non esistono, ma perché esistono, come si strutturano e in risposta a che cosa. Per tornare sul piano politico, il potere c’è in ogni caso, ma questo non significa che le forme che assume siano giuste per noi. Se i modi in cui il contesto co-produce le nostre identità rispondono a gerarchie ingiuste e oppressive nei nostri confronti, allora vanno combattute, va interrotta la loro riproduzione, e cambiati i dispositivi di significazione (e sovra-significazione) che coinvolgono i nostri corpi e le nostre esperienze.

Credo che questo dovrebbe essere il centro delle politiche queer oggi: non riaffermare il nostro “vero io” ma riaffermare noi stess3 contingenti e la nostra legittimità a parlare per noi e agire sul mondo che ci circonda. Questo non solo prescinde da un sentimento innato, ma si dà con ancora più forza quando le nostre istanze nascono dalla stessa società che vorrebbe reprimerci.

***

A partire da questo snodo politico, il 24 novembre 2024 siamo tornat3 in piazza come tavolo di lavoro della Trans* March di Torino, portando un discorso in 6 punti sulla non-normatività di genere, rielaborato a partire dal manifesto politico che abbiamo scritto l’anno scorso (qui qualche considerazione su come è andata). Ecco il discorso.

1.

Siamo persone trans* e siamo qui a puntare il dito contro la norma cis-etero-patriarcale.

Viviamo in un sistema che ci tollera solo in quanto devianti, in quanto pazienti, in quanto corpi che hanno bisogno di essere curati. Viviamo un giudizio costante sulle nostre identità che prende la forma della patologizzazione. Viviamo la paura di essere vist3 come sbagliat3 e la violenza, fisica e non, che potrebbe derivarne, che ci rende così difficile fare coming out ed esplorare il nostro genere liberamente. Troppo spesso l’essere trans è vissuto come un ostacolo, e non dovrebbe esserlo.

Siamo qui perché vogliamo che la legittimità dei nostri corpi sia rispettata, che sia riconosciuta la moltitudine e la varietà delle esperienze trans*, in tutte le loro forme.

Pretendiamo la nostra autodeterminazione, la scelta libera su noi stessз e sulle nostre vite. Negarla è una violenza.

2.

Critichiamo e rifiutiamo il concetto di passing, prodotto dello sguardo cis-etero-patriarcale. Uno sguardo che giudica e norma i nostri corpi, ma che abbiamo anche introiettato noi stess3, per giudicare e valutare la nostra performance di genere. 

Quando mi dici, come complimento, che “non sembro trans*”, stai dicendo che essere trans* è indesiderabile, apparire trans* è indesiderabile. Ma essere cis non è meglio di essere trans, non lo è mai stato e non lo sarà mai.

Il passing non è una conquista, ma un privilegio di cui essere consapevoli. Chi non soddisfa i requisiti del passing è più espostз a violenza, e di questa vulnerabilità noi dobbiamo farci carico come comunità.

I nostri percorsi di affermazione sono sempre validi e vanno sempre rispettati, al di là di ciò che è visibile. I nostri corpi non sono involucri da modificare e rendere “migliori”. I nostri corpi siamo noi.

3.

Il genere è uno spettro, ha molteplicità e sfumature.

Critichiamo il binarismo di genere e l’ideologia eterosessista su cui si fonda. Il maschile e il femminile come due opposti che si completano a vicenda, irriducibili l’uno all’altro. Una separazione che ha creato incomunicabilità, frustrazione e violenza. Il binarismo non crea due poli opposti, ma due livelli di una gerarchia, dove uno può solo dominare e l’altro deve sottomettersi.

Vogliamo che maschile e femminile smettano di essere posti a metro di giudizio per tutti i nostri generi. Noi auspichiamo la fine del genere.

4.

Pretendiamo di esplorare le nostre identità, decostruirle, ricostruirle più e più volte, come desideriamo. Rivendichiamo la nostra creatività.

Non esiste una transizione “standard”, non “completiamo la transizione”. Quelli che il sistema medico ci impone come obiettivi, sono modelli binari e normativi, disegnati da persone cisgender e da una cultura patriarcale.

Rivendichiamo la possibilità di scegliere per noi stess3 cos’è la partenza e cos’è l’arrivo, di spostarli, e anche di rifiutare l’idea di una partenza e di un arrivo. Rivendichiamo la validità di tutti i percorsi non medicalizzati, al pari di tutti quelli medicalizzati, a qualsiasi età e in ogni condizione.

5.

Siamo stanchз delle ingerenze del personale medico e psicologico.

Vogliamo decidere in autonomia come transizionare, secondo il modello del consenso informato. Vogliamo avere accesso alle informazioni che riguardano i nostri corpi e la nostra salute. Denunciamo il gatekeeping che ci porta spesso a nasconderci o a mentire per poter accedere alle transizioni medicalizzate, al prezzo della nostra salute.

Ogni persona trans* è abbastanza trans, e ogni transizione è diversa.

6.

Vogliamo prendere la parola in ogni spazio, a partire dalle istituzioni educative. Vogliamo portare le nostre storie nel discorso pubblico, e non stare ad ascoltare le parole con cui un sistema patriarcale e binario ci racconta.

Ogni giorno noi plasmiamo nuovi linguaggi e nuove parole per esistere. La lingua cambia dal basso, con le esigenze di chi la parla. Quindi vogliamo sperimentare forme neutre, singolari e plurali. Forme che sfidano la nostra lingua così come i nostri corpi sfidano il binarismo, così come le nostre istanze sfidano il sistema.

La nostre voci non si fermano.

La nostra rabbia non ha una sola voce.
Transfemministe, antifascite e frocie.

***

📸 Trans* March 2024 – Foto di Marina Zaia

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