Anthony Giddens
Il concetto di modernità, e in particolare l’anti-modernità di alcuni movimenti ecologisti, sembra preoccupare molto il sociologo Anthony Giddens. Effettivamente negli anni Ottanta pare che alcune lotte sia “di destra” che “di sinistra” abbiano identificato nella modernità un elemento chiave del problema che si pongono (sia esso politico, sociale, economico o tutto questo insieme).
Quindi, preliminare ad alcuni appunti di ecologia politica che presto pubblicherò, qui un paio di schemi a partire dalla domanda analitica: cos’è la modernità? Tutto questo viene dall’articolo Modernità, ecologia e trasformazione sociale raccolto nel volume “Ecologia politica” a cura di Paolo Ceri (Feltrinelli, 1987).

Ecco perché, tra parentesi, Giddens non si serve della categoria di postmodernità: i cambiamenti della società a lui contemporanea stanno portando non a un superamento delle caratteristiche principali della modernità, bensì a un loro rafforzamento.

Il seguito dell’articolo contiene l’esposizione da parte di Giddens di sei tesi sui movimenti pacifisti ed ecologisti. Te le risparmio, se non altro perché si basano su una ostinata (e dal mio punto di vista colpevole) ignoranza dell’esistenza di “teorie politiche normative della violenza” alternative a quelle dello Stato — quasi come se non ci fosse mai statə neanche unə libertariə al mondo.
Claus Offe

Claus Offe propone una critica strutturale della nostra concezione di modernità, dimostrando come la moltiplicazione delle possibilità di accesso (in potenza) per ciascunə non corrisponde a un’aumento reale delle possibilità di accesso al potere di determinare queste possibilità. Detto altrimenti, tanto la scelta (politica, culturale, di consumo…) si allarga, tanto meno potere il singolo soggetto ha su questa scelta.
Ironicamente, questo è proprio quello che emerge dal discorso sulle tecnologie (materiali e sociali) di un autore decisamente libertario come Ivan Illich.
Ma c’è ancora un altro punto strutturale che mi interessa nel testo di Offe. Rispetto alla società in generale:
La modernizzazione delle parti avviene, così sembra, a scapito della modernità del tutto.

“Moderna”, nel senso di “aperta alle alternative”, non è la società, ma lo sono soltanto i suoi sistemi costitutivi cioè quelli della produzione materiale, della riproduzione culturale, dell’opinione pubblica e del potere statale [i perimetri gialli nello schema]. Il modo in cui questi sistemi parziali stanno in rapporto tra loro e si influenzano reciprocamente deve essere considerato, all’opposto, come estremamente rigido, fatale e chiuso a ogni tipo di opzionalità. Ma non si tratta solo di questo: […] i modelli di controllo della coordinazione sono caratterizzati da un’insufficiente capacità di prestazione, da più parti deplorata. Questo significa che sotto l’aspetto temporale, sociale o materiale, i singoli processi parziali provocheranno su altri processi parziali effetti del tutto sconosciuti, imprevisti e/o che non possono essere neutralizzati e mantenuti sotto controllo nella misura in cui “effettivamente” lo esigerebbero “valori normativi” e condizioni di equilibrio funzionale…
Questo si configura come un problema politico nel campo dell’ecologia, per esempio con l’adozione di modelli produttivi dai risultati e rischi sconosciuti o incerti (inquinanti, radiazioni, modalità e organizzazione produttiva dell’umano e del non umano). Ma è un nodo politico della modernità anche in senso più ampio:
Proprio a causa dell’apertura verso il futuro dei sistemi parziali e delle razionalità settoriali che accelerano l’innovazione, la stessa società sembra diventata incapace di concepire il proprio futuro come progetto, o anche solo di regolarlo sulla base di valori normativi elementari. L’altra faccia del processo di modernizzazione si configura come un’immobilità e un imprigionamento nello status quo dell’intera società. Ciò appare assolutamente paradossale, non avendo più nulla in comune con il motivo basilare della modernità, cioè con l’aumento del potere di scegliere e di disporre.
La proposta positiva di Offe è di rendere sempre disponibile l’opzione zero, ovvero il “no”, l’exit (l’articolo si chiama L’utopia dell’opzione zero — e spiace che nella sua trattazione liberale effettivamente di un’utopia si tratti…). Da una domanda strutturale e “non posizionata”, arriviamo così a una proposta politica, quella di rendere possibile la rinuncia collettiva (e anche individuale se significati e conseguenze sono collettivizzati) a pezzi di modernizzazione.