Come spesso succede con le mie idee, il nome “giardino punk” è nato un po’ per caso. Solo dopo, con un processo inverso rispetto alla sintesi, ho dedicato molto tempo a cercare di capire fino in fondo il significato e le implicazioni di questo nome. Qui ricostruisco per frammenti la prima parte: il giardino.
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Da una recensione di Il regno e il giardino di Giorgio Agamben su Doppiozero
Si potrebbe addirittura arrivare a dire che, per comprendere come le società antiche hanno immaginato la propria versione ideale – il proprio paradiso – bisogna guardare al modo in cui esse hanno pensato i propri giardini: il giardino ad Atene era un luogo per la discussione e l’agone scientifico, che corrispondeva agli ideali di democrazia e di paideia propri della cultura greca, mentre il giardino cristiano era hortus conclusus, un luogo in cui le mura proteggevano e al contempo separavano l’uomo dall’esterno, dandogli la sua precisa posizione nel mondo (un mondo in cui la percezione delle barriere, sia fisiche che sociali e culturali, era un tassello psicostorico fondamentale). Il giardino barocco era una sorta di “panottico esterno”, in cui le vie rigidamente disegnate, le piante piegate in forme bizzarre dalla mano umana e l’universale visibilità dall’istanza centrale costituita dal palazzo corrispondevano alla società assolutistica di cui era espressione, quello inglese, invece, con il suo avvicinarsi alla naturalità di una selva, rispecchiava in qualche maniera gli ideali di una società che aveva abolito la monarchia assoluta e cominciava a credere che l’uomo non dovesse essere necessariamente, per natura, indirizzato in maniera univoca nei suoi spostamenti nel mondo.
Non a caso, la parola “paradiso” significa, originariamente, “giardino”
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“Giardino” (o meglio, “Paradiso”) – ci dice Agamben – è il nome che tanto affascinanti quanto spesso dimenticati autori del periodo protocristiano (come Efrem Siro e Sant’Ambrogio) hanno dato alla natura umana, in particolare a quella prima del peccato.
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Alcuni link
- https://it.frwiki.wiki/wiki/Zone_autonome_temporaire
- https://it.frwiki.wiki/wiki/Hétérotopie
- https://www.ilbecco.it/leterotopia-nel-pensiero-di-foucault/
- https://it.frwiki.wiki/wiki/Jardin_planétaire
- https://it.frwiki.wiki/wiki/Jardin_en_mouvement
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Giardini (ir)reali
Quando si parla di giardino, anche nella letteratura e nella filosofia, è sempre difficile tracciare una linea netta tra la metafora e la realtà. Dico, per chiarezza, che non ho un giardino nella realtà; il mio rapporto con la botanica è minimo e teorico. Mi piacerebbe imparare a intuire le necessità e le evoluzioni dei giardini, sia in senso situato (insomma il giardinaggio), sia in senso politico, in rapporto al problema delle risorse e della sussistenza umana e non umana, oltre che del recupero di paesaggi completamente antropici, con seconde nature e immaginari abbandoni virtuosi. Comuqnue quando parlo di giardino mi riferisco perlopiù al suo portato simbolico.
Il giardino rappresenta fin dalla più remota antichità una sorta di eterotopia felice e universalizzante.
M. Foucault
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Libri letti e da leggere
- La bellezza assoluta del giardino. Arte e filosofia della natura di Rosario Assunto (letto)
- I giardini invisibili. Un manifesto botanico di Antonio Perazzi (letto)
- Coltiviamo il nostro giardino. Osare nuovi paesaggi, prendersi cura, inselvatichire il mondo a cura di Florence Ferran, Claudia Mattogno, Annalisa Metta (da leggere)
- RADICAL GARDENING. Politiche, utopia, ribellione nell’orto e nel giardino di George McKay (da leggere)
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Giardino digitale
Per arrivare infine a quel ritorno dell’idea di giardino che la cultura digitale ha portato con sé in una riflessione critica sui problemi del mondo digitale e delle nostre modalità di produzione/fruizione al suo interno. Come dicevo anche tempo fa in un articolo, il digital garden è l’eterotopia digitale dove coltivare un’esistenza interiore, creativa, intellettuale, spirituale ecc. (ma spesso accompagnata anche dal gesto materiale, tanto nel processo creativo quanto nella cura dei giardini non-digitali), e altre facoltà che spesso non trovano una valvola di sfogo nell’ideologia dell’utente all’interno dell’economia.
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→ Il giardino come spazio politico di negoziazione tra umano e non umano
negoziazione che porta con sé la necessità di cedere parte del controllo ad altre forze, forze che guadagnano legittimità politica in quanto esistono (o meglio esistevano, come vedremo) per sè — al contrario per esempio del mercato, che è una forza che non esiste e non fa nulla per legittimarsi, è passivamente accettata come “l’unica via possibile” in un processo intra-storico e ci costringe a negoziare le forme fondamentali della nostra vita, come il tempo, la sussistenza ecc.
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Giardino botanico
(Questo è il giardino botanico di Villa Carlotta sul Lago di Como)