E poi c’è il problema di Camus, con cui ogni social media manager culturale deve fare i conti almeno una volta nella vita. C’è quel giorno in cui non puoi più sottrarti, non puoi svicolare, dire che non era un’idea tua, dare la colpa al grafico, al piano editoriale e a Creator Studio. Basta! Viene quel giorno nella vita di tutti i social perbene, che di solito è il 7 novembre, in cui tutti si aspettano un bel post sull’anniversario della nascita di Camus.
Tu sei seduto davanti al tuo Mac, la caption già scritta sul foglio Word, la guardi e sì dai, ti sembra un bel lavoro, stai per programmare il post e all’improvviso ti colpisce quella… cosa. Ti colpisce – badabum! – come una tonnellata di mattoni. Eccola lì, riguardi la tua caption standard, bellina, nulla di eclatante, di solito inizia con «Oggi, tot anni fa, nasceva Albert Camus,» e finisce con, «il più grande scrittore di tutti i tempi». La guardi, la guardi, e ti accorgi che quelli che senti nelle orecchie sono i pianti disperati di migliaia di lettori tutto intorno al mondo, e critici e giornalisti e promotori culturali e altri scrittori che devono passare sul suo cadavere. E poi, ultimi in ordine di importanza, i social media manager come te. E tutti piangono, i loro rantoli è come se salissero dai gironi infernali. E tu, povero coglione, che pensavi di essere l’unico. Tu che credevi che nessuno se ne sarebbe accorto. Tu che pensavi di poter andare avanti per tutta la vita a fare il lavoro che fai, senza mai fare i conti con Camus. Che ogni volta che te lo domandano ripeti a memoria le tre righe che hai imparato dall’antologia del liceo. Che ci hai anche provato a leggerlo, ma mica una, almeno cinque volte, ma lui, la sua logica corrotta, ha sempre avuto la meglio. E guardi ancora la tua ignobile caption con le lacrime agli occhi, e sai che sei finito, la tua carriera è finita, la tua vita è finita, che non ti eleverai mai al di sopra delle masse, non sarai annoverato tra le migliori menti della tua generazione, non prenderai il Nobel, d’accordo puntavi in alto, ma forse neanche il Campiello! e invece continuerai a usare Canva, a rispondere in ritardo alle mail, sarai un manichino del sistema per tutti gli anni a venire, fino a quando l’INPS avrà pietà di te, e poi morirai solo.
Eccola la tua pochezza, quasi quasi puoi toccarla, il tuo fallimento è lì in piedi, dritto, che ti guarda con la faccia di Albert Camus e sorride col ghigno, e ti dice: «È inutile che fingi, ragazzo mio» – e dentro di te lo sai che ha ragione lui. Questo è il suono della sconfitta. Tiri su col naso e glielo dici: «Hai vinto Camus,» gli dici. Ma a lui non basta, vuole sentirlo per intero, niente giri di parole: «Dimmelo!». E tu prendi fiato ma ormai stai piangendo come un bambino. «La Peste,» gli dici, ma poi crolli, non ce la fai, non ce la fai. «Dillo! Cialtrone di un social media manager, dillo!» «La Peste…» «Cosa? La Peste cosa?». Ti fai coraggio, e francamente non credevi che in vita tua saresti stato mai così coraggioso, ma non importa adesso, ti fai coraggio e prendi fiato. «Le Peste…» rantoli. Hai l’asma e voglia di crepare. «Sì, la Peste!» tuona lui. E che cazzo, lasciami parlare però. Fai uno sforzo: «La Peste…» lo vedi che strabuzza gli occhi, «è incomprensibile.»