Una questione di social media, narrazioni e identità
In questi giorni mi sto imbarcando in un progetto web: si chiama The Ronnie Pinn Project e, per quanto mi piacerebbe raccontare passo dopo passo tutti gli step del lavoro, mi rendo conto che sarebbe poco utile e molto noioso. A grandi linee possiamo dire questo: sto per raccontare una storia vera, una storia che ha due protagonisti e che, ahimè, come tante grandi storie, ha il difetto di essere raccontata sempre e solo da uno dei due.
Andrew O’Hagan
È uno scrittore e giornalista britannico. nella sua carriera si è occupato soprattutto di reportage narrativi (quello che nei paesi anglosassoni va sotto l’etichetta di literary non-fiction). O’Hagan, oltre ad essere uno dei protagonisti di questa storia, è anche, come dicevo, il narratore. E perciò quello che succederà di qui in avanti sarà che io, sulla base del testo di O’Hagan, cercherò di mettere in discussione le sue stesse posizioni (uno dei vantaggi di scrivere in italiano è che posso farlo senza preoccuparmi minimamente delle conseguenze 😈).
All’angolo opposto del ring, in una dinamica che mi ricorda l’Avversario di Emmanuel Carrere, troviamo:
Ronnie Pinn
Attorno a Ronnie Pinn dovrei fare più premesse che racconti, a cominciare proprio dal nome.
La prima volta che mi sono occupato di O’Hagan, mi sono limitato a studiare (letteralmente studiare) dall’edizione italiana di The Secret Life: Three True Stories of the Digital Age, tradotto in La vita segreta. Tre storie vere dell’era digitale (Adelphi, 2017). Tornando sui miei passi più di un anno e mezzo dopo, ho deciso che era venuto il momento di ascoltare la voce di O’Hagan così come lui stesso l’avrebbe potuta ascoltare, e così mi sono procurato l’edizione in lingua originale del libro. La vita segreta è strutturato in questo modo:
- Una prefazione interessantissima che tratta della prassi della literary non-fiction, che ti consiglio caldamente di leggere se ti interessi di reportage e altre storie vere.
- Il racconto di un’esperienza che O’Hagan fece (o perlomeno tentò di fare) come ghost writer di – niente di meno – Julian Assange.
- L’invenzione di Ronnie Pinn.
- Una sorta di indagine giornalistica per cercare di capire chi si cela dietro la figura leggendaria di Satoshi Nakamoto, l’inventore del BitCoin.
Ora, al punto 3 c’è il famoso articolo che contiene il punto di vista di O’Hagan su tutta la questione di Ronnie Pinn. E però quello è il titolo che gli è stato dato nell’edizione italiana con la tradizione di Svevo D’Onofrio. L’edizione inglese, invece, intitola quella sezione: The invention of Ronald Pinn. E dunque, per ironia della sorte, al fondo di un progetto divulgativo sulla creazione dell’identità, io non so più esattamente se stiamo parlando di un Ronnie Pinn Project o di un Ronald Pinn Project, o addirittura di due diverse versioni del medesimo lavoro.
L’invenzione di R. Pinn
Il cui nome per intero è Ronald Alexander Pinn, nato a metà degli anni Sessanta e morto a metà degli anni Ottanta per un’overdose di eroina in un appartamento pulcioso alla periferia di Londra.
Questi sono i fatti fino all’inverno del 2016, quando arriva Andrew O’Hagan a cambiare le carte in tavola. R. Pinn, che come tutti i morti era supposto rimanere morto almeno fino al giorno del Giudizio (sempre che tu ci creda), a un certo punto è tornato. Con Andrew O’Hagan a giocare al dottor Frankenstein, puoi immaginare come è andata a finire (qui c’è un articolo che puoi leggere se vuoi sapere tutta la storia di Ronnie Pinn). Mi preme che tu tenga a mente che questa è una storia vera, e che, come probabilmente hai intuito dal titolo, è una storia che parla di media, social media, e di come le persone non fanno altro che inventare e reinventare sé stesse ogni santo giorno registrandosi e tenendo traccia del proprio cammino su una bacheca bianca e blu o una griglia 3×4 eccetera eccetera – che è poi quello che faccio io su questa pagina bianca.
La sfida di O’Hagan è riassumibile più o meno così:
vuoi vedere che, oltre a costruire e ricostruire le identità di persone vere e vive, attive con una loro agency nel mondo, la capacità di modificarlo e influenzare gli altri, di aggregarsi e disgregarsi in folle e gruppi… vuoi vedere che in tutta questa definizione e ridefinizione, va a finire che il sostrato fisico dell’umanità non era poi così essenziale?
In altre parole: sebbene i meccanismi di produzione dell’identità siano ancestrali e pressoché invariati, questo mondo contemporaneo li sta declinando in modi e scenari che in pochi sembrano aver intravisto. Questo è uno dei meriti che ad Andrew O’Hagan vanno riconosciuti: ha intuito qualcosa, ha fatto un esperimento e ha scritto un reportage. Di qui in avanti ci mettiamo nelle mani sapienti di altri autori.
Perciò no, non è Andrew O’Hagan il protagonista di questa storia, anche se all’inizio può sembrarlo. Questa è una storia vera, e come tutte le storie vere, è una storia corale, complessa, dai confini sfocati. Io ho deciso di provare a riassumerla in quello che ho chiamato The Ronnie Pinn Project. È un one-man show, perciò ci vorrà un po’ di pazienza, ma spero che una prima versione possa uscire già prima dell’estate. Se vuoi restare aggiornatx sui progressi del Ronnie Pinn Project e sullo stato dell’arte del punk e tutto il resto, scrivimi.