A cosa serve scrivere narrativa? Se è vero che le storie sono ormai ovunque, nell’informazione, nella pubblicità, nell’educazione, allora perché scegliere la forma romanzo? È possibile immaginare una narrativa votata al cambiamento sociale, e se sì, che caratteristiche dovrebbe avere?
In questa guida decisamente spuria vorrei affrontare il tema del romanzo politico, riassumendo (spero non troppo) alcune delle riflessioni che intellettuali e romanzieri “impegnati” hanno proposto dalla fine del Novecento, con un focus sulla teoria del punto cieco di Javier Cercas. In secondo luogo, vorrei suggerire alcune pratiche e tecniche adatte a scrivere un romanzo con questo scopo.
Un chiarimento preliminare: proprio come gli autori a cui si rifà, questa guida parla di romanzo nel suo senso più ampio, come oggetto narrativo della modernità, che sia di finzione o di non-fiction. Se hai sfogliato le mie storie, sai che mi dedico quasi esclusivamente al racconto; tutto quello che si dice qui può essere esteso cum grano salis anche alle forme brevi.
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In questo articolo:
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Perché il romanzo
In uno dei saggi della raccolta L’arte del romanzo, Milan Kundera si domanda quando è lecito scrivere un romanzo, ossia quali sono i temi e gli stili che sono più appropriati alla forma romanzo, e dunque cosa rende un romanzo un buon romanzo. La risposta che Kundera si dà, attribuita a sua volta a Hermann Broch, suona come una chiarissima indicazione di metodo, un faro per chiunque abbia in mente di sedersi e cominciare a scrivere:
L’unica ragion d’essere di un romanzo è scoprire ciò che solo il romanzo può scoprire. Un romanzo che non scopre un segmento di esistenza fino ad allora sconosciuto è immorale. La conoscenza è l’unica moralità del romanzo.
Può sorprendere come, già da questa prima riflessione, emerga il tema alla moralità del romanzo, che va intesa come la sua etica, e non in senso moralistico. Esplicitare il tema della moralità di un romanzo significa riconoscere implicitamente la capacità del romanzo di avere effetti reali sul mondo, proprio come il giornalismo, il teatro, la politica di piazza. Kundera e altr3 autor3 sostengono che il modo in cui il romanzo produce effetti reali sul mondo è aumentando la conoscenza. L’obiettivo di un romanzo deve essere proprio questo: produrre conoscenza sul mondo, sugli esseri umani, sui rapporti…
Ma Kundera dice anche un’altra cosa. Questa conoscenza prodotta dal romanzo è giustificata solo se il romanzo è l’unico strumento per raggiungerla. Detto altrimenti: un romanzo è un buon romanzo quando, per il suo tema e per il suo stile, porta alla luce verità che nessun’altra forma espressiva avrebbe potuto far emergere. Avremmo potuto dire lo stesso scrivendo un saggio, girando un video, facendo una manifestazione? Allora forse avremmo fatto bene a farlo. Se il romanzo è l’unico strumento efficace per dire ciò che abbiamo da dire, allora dovremmo scrivere un romanzo.
Poetica della domanda
Che tipo di verità sono quelle che possono emergere solo da un romanzo?
Gli autori che citerò danno una risposta apparentemente unanime. Sono verità complesse, contraddittorie, che sfuggono a una logica aristotelica di esclusione degli opposti. Sono verità che si costruiscono intorno all’elaborazione di domande, e non alla ricerca di risposte. Scrive sempre Kundera:
Il romanziere insegna al lettore a comprendere il mondo come una domanda.
Javier Cercas lo declina nei termini dell’ironia, cioè di quella forma retorica che consente di dire qualcosa e al tempo stesso il suo opposto, senza che le due siano perciò mutuamente escludenti.
È a questo punto che l’idea di “romanzo politico” diventa scivolosa. Il romanzo scritto per sostenere un’idea politica funziona proprio al contrario: sostiene l’idea che abbiamo, la argomenta, in contraddizione a un’altra idea o visione del mondo.
A metterlo bene in luce, seppure col suo piglio polemico, è Walter Siti, in un libello che si chiama Contro l’impegno. Politico, nel romanzo, non significa pedagogico; l’impegno non è a mostrare la via giusta, ma a metterla sempre e costantemente alla prova. Porre le domande, aumentare la complessità, mettere in luce i paradossi e lati oscuri degli eroi come l’odio, la rabbia, l’angoscia (d’altronde per Siti la «passione di esporsi al trauma» è un tratto di tutt3 l3 scrittor3).
Leggendo criticamente alcuni romanzi di autor3 italian3 tra cui Roberto Saviano, Michela Murgia e Gianrico Carofiglio, Siti sostiene che non è la qualità della scrittura a indebolirli come romanzi, ma l’intento perorativo che li guida, il desiderio di mostrare all3 lettor3 un Bene e un Giusto senza macchia e senza spazio di negoziazione. Per questo per Siti i romanzi come strumento per promuovere i “buoni sentimenti” e la giustizia sociale senza conflitto non sono romanzi riusciti. Essi compiono una semplificazione nei mezzi, che è ciò che cercano di combattere nei fini, e intanto perdono di vista il senso di un romanzo, cioè, da Kundera, scoprire ciò che solo il romanzo può scoprire.
La teoria del punto cieco
Attraverso la sua stessa opera di scrittore, Javier Cercas ha elaborato in modo particolarmente chiaro uno strumento utile a scoprire ciò che solo il romanzo può scoprire. Lo scrittore, riprendendo le parole di William Faulkner, accende
un cerino nel mezzo dell’impenetrabile oscurità che ci circonda: si potrebbe dire che il cerino non permette di vedere nulla; ma non è così: permette di vedere l’oscurità.
Javier Cercas, Il punto cieco
Guardando ad alcuni romanzi fondamentali come Moby Dick di Melville, Il processo di Kafka, ma anche lo stesso Chisciotte che dà avvio al genere, Cercas si dà (e ci dà) uno strumento per andare incontro all’obiettivo di Kundera.
La mattina del suo trentesimo compleanno, Josef K. si sveglia nel suo letto e trova ad aspettarlo due agenti di polizia. Qualcuno doveva averlo calunniato, riferisce Kafka nell’incipit de Il processo, perché Joseph K. fu arrestato senza che avesse fatto niente di male. Come è chiaro, la domanda che da qui si accende è: di cosa è accusato Joseph K.? E sarà colpevole o innocente?
Com’è noto non si arriva mai a una risposta; il romanzo stesso segue le vicende del protagonista nella sua ricerca di una risposta, ma è destinato a lasciare un vuoto che è allo stesso tempo narrativo (di trama), affettivo e di senso.
Al centro stesso del romanzo c’è, perciò, una domanda senza risposta, un enigma irrisolto, un punto cieco, un minuscolo luogo attraverso il quale, in teoria, il lettore non vede nulla; ma la verità, in pratica, è che il significato profondo di tutto il romanzo si trova lì, e che è proprio grazie a quel punto cieco che il romanzo vede, è proprio grazie a quel silenzio che il romanzo è eloquente (o dovrebbe esserlo), è proprio grazie a quell’oscurità che il romanzo illumina (o dovrebbe illuminare). È questo il paradosso che definisce i romanzi del punto cieco; […] In qualche momento del loro sviluppo viene formulata una domanda, e il resto del romanzo consiste, in forma più o meno visibile o segreta, in un tentativo di risposta, ma alla fine la risposta è che non c’è risposta.
Javier Cercas, Il punto cieco
L’ironia, per Cercas, sta in questo: Joseph K. è allo stesso tempo colpevole e innocente di un delitto; il mondo che Kafka costruisce ne Il processo è un mondo fatto di contraddizioni. Proprio così funziona la letteratura: portando alla luce queste contraddizioni e immettendole nel mondo reale e nella nostra comprensione di esso. La molteplicità delle dei sensi e dei punti di vista, e non solo delle interpretazioni di un’opera, sono il cuore dell’opera stessa. O come la dice Cercas, citando Roland Barthes di Critica e verità:
Un’opera è eterna non perché impone un senso unico a uomini differenti, ma perché suggerisce sensi differenti a un uomo unico.
Cassetta delle euristiche
Dal punto di vista pratico, non è affatto semplice scrivere l’ambiguità. Mi è capitato, scrivendo racconti, di scontrarmi con il bisogno di non sapere con certezza, non rispondere a una domanda centrale, o non avere chiara una risposta perché la risposta non era qualcosa che si potesse enunciare o circoscrivere chiaramente.
Un esempio dalla mia esperienza personale viene dalla scrittura del racconto Blues di Orlando. Qui il co-protagonista della storia è un vero veggente e al tempo stesso non lo è, perché la natura delle sue intuizioni è irrisoria, quasi frutto del caso, e allo stesso tempo straordinaria. In fondo, il confine tra ordinario e straordinario è un oggetto di indagine su cui la narrativa fantastica “del vicino”, e in particolare l’utopia, sovente si concentra, perché apre a domande complesse e interessanti sulla nostra capacità di fare cose straordinarie (di cambiare il mondo) pur restando nell’ambito dell’azione quotidiana, cioè del materiale.
Come destreggiarsi con una così profonda ambiguità?
La letteratura postmoderna ha indagato l’ambiguità del reale più a fondo di ogni altra, e se ci sono romanzi da cui trarre strumenti e ispirazione, di certo vale la pena partire da lì. Ma vorrei riproporre qui alcuni degli strumenti euristici a cui torno spesso e che penso possano essere utili per generare nel romanzo domande complesse.
Il mistero originario
Ossia: collocare il punto cieco all’origine di un fatto o di un personaggio. Ecco che il principio narrativo della questione è avvolto nel mistero, così per esempio le ragioni dell’arresto di Joseph K., o la storia di vista del capitano Nemo, uno dei personaggi a mio avviso più misteriosi e affascinanti di tutta la letteratura, punto centrale di Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne.
Perché (narrativamente) accade ciò che accade o come un personaggio è diventato ciò che è? Potrebbero essere un semplice non detto, ma potrebbero anche essere la chiave di volta capace di dare un senso univoco, una morale, alla nostra storia. Morale che, per l’appunto, possiamo scegliere di lasciare sospesa.
La genealogia
Qualcosa di simile al mistero originario accade con la genealogia. Qui però non si tratta di lasciare un non detto, ma di dire qualcosa di eticamente contraddittorio.
Funzionano così, ad esempio, Cronaca di una morte annunciata di Gabriel Garcia Marquez e Le transizioni di Pajtim Statovci. In entrambi i casi ciò che avviene nella storia (rispettivamente un omicidio e una migrazione) porta con sé un giudizio morale molto netto da parte di chi legge (rispettivamente negativo e positivo). Ma attraverso la genealogia dell’azione, il come si è arrivat3 fin lì, emerge un racconto diverso che aggiunge la giudizio iniziale un’altro giudizio contraddittorio, e mette in luce la parzialità di entrambi. E così, la migrazione di Bujar ne Le transizioni è resa possibile dalla morte del suo migliore amico; mentre l’omicidio di Santiago Nasar è perpetrato nell’obbligo e nella costrizione delle norme sociali e della maschilità. È quasi impossibile, alla fine del romanzo, formulare un giudizio, semplicemente è complesso.
Le prospettive multiple
È un topos del romanzo postmoderno, che prende il massimo spazio nelle forme del romanzo corale. Tutta la storia si svolge nelle vite di diversi personaggi, che la leggono e la interpretano alla luce delle loro esperienze, valori, significati. Tutt3 partecipano all’azione di cui stiamo raccontano, ma le loro prospettive non vanno a convergere su un unico significato, ma le attribuiscono invece significati differenti, perfino opposti, inseriti in visioni del mondo radicalmente diverse le une dalle altre, che si affiancano ma è difficile ordinare gerarchicamente,
Mi viene in mente così Nero Ananas di Valerio Aiolli, un romanzo corale che racconta le vicende di diversi personaggi e ruoli politici nell’escalation che culmina con “il botto”, l’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, il 12 dicembre 1969.
La sovrapposizione
La sovrapposizione tra due opposti, o tra l3 protagonista e l3 su3 fantasma, è un altro meccanismo comune e interessante, quasi una personificazione della figura retorica dell’ironia.
Così, per esempio, in una sola frase, Emmanuel Carrére costruisce il parallelismo tra sé e il pluriomicida Jean-Calude Romand nel romanzo di autofiction L’Avversario:
La mattina del sabato 9 gennaio 1993, mentre Jean-Calude Romand uccideva sua moglie e i suoi figli, io ero a una riunione all’asilo di Gabriel, il mio figlio maggiore, insieme a tutta la famiglia.
Emmanuel Carrère, L’Avversario
Un altro esempio di sovrapposizione, su un tema più classicamente politico, è quello che Giorgio Fontana utilizza nel suo romanzo Morte di un uomo felice, dove a un terrorista della sinistra extraparlamentare, sottoposto a interrogatorio, fa sostenere che non c’è alcuna differenza tra la pratica politica del gruppo a cui appartiene e quella degli eroi partigiani della resistenza al fascismo.
L’altra faccia dell’eroe
Comune a molti di questi esempi, o forse a tutta la storia del romanzo, è una strategia di aumento della complessità banale ma sempre attuale. Chiunque sia lə nostrə protagonista o personaggio principale, è essenziale tendere sempre a mente che non è mai del tutto unə eroe, né mai del tutto unə anti-eroe.
Friedrich Dürrenmatt, campione di messa in discussione dei generi e degli stilemi narrativi, costruisce i suoi personaggi principali intorno all’idea che per ogni storia raccontata esiste una contro-storia che svela volti diversi, a tratti inquietanti e che disturbano quella fame di certezze che tendiamo a cercare di soddisfare anche nelle storie. E così il brillante investigatore protagonista del suo La promessa – Requiem per un romanzo giallo cade in un’ossessione per quel caso che, contrariamente alle regole del genere giallo, non riesce proprio a risolvere né con la ragione, né con l’astuzia, né con la fortuna. Per arrivare perfino a scomodare l’oracolo di Delfi ne La morte della Pizia, il simbolo per antonomasia di chi-conosce-la-verità nasconde un segreto, che potrebbe gettare nel dubbio tutta la cultura europea… o forse no.
Soluzioni imperfette
Quest’ultima è un’idea che ho preso direttamente dal genere solarpunk. Penso sia centrale quando si scrive di utopia, ma anche in generale quando si decide di dare uno scioglimento positivo alla trama. Lo scioglimento non è mai definitivo, il punto che mettiamo alla fine della storia non è eterno, e dobbiamo tenerne conto. Dobbiamo, quando i nostri personaggi giungono a una soluzione, pensare che la soluzione non è mai perfetta, ma al contrario genererà a sua volta problemi inattesi e nuovi conflitti.
È solo una suggestione per il momento, di come funziona lo scioglimento di una storia positiva vorrei tornare a parlare in un prossimo post.
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Questi sono alcuni esempi, a cui affiancare tutte le tecniche tipiche del romanzo postmoderno, a partire dalla frammentazione, il montaggio formale e quelle costruzioni che richiedono all3 lettric3 una forte partecipazione nella costruzione del significato, fornendol3, se necessario, indizi per una lettura degli eventi complessa e mai del tutto certa.
Scrivere con questo obiettivo può anche voler dire, in senso politico, appianare un po’ il rapporto gerarchico tra chi legge e chi scrive, lasciando a chi legge la possibilità di portare dentro il romanzo i suoi dubbi e le sue sensibilità etiche, di trarre le sue conclusioni, per una co-costruzione del senso della storia e, di conseguenza, dell’effetto che avrà sul mondo.
Di nuovo Javier Cercas:
Il lettore ha bisogno che l’autore gli conceda uno spazio: questo spazio è l’ambiguità…
Questa è una delle possibili visioni del romanzo politico, non è l’unica, ma è quella a cui mi sento più affine e che credo (col mio personale posizionamento politico) possa esserci più utile per agire nel mondo secondo ciò che riteniamo giusto. Un giusto, mi sembra ormai chiaro, che non si dà da in maniera auto-evidente, ma può solo essere complesso, negoziato e instabile.
Perché la verità è che, in fondo, ogni autentica letteratura è letteratura impegnata, almeno nella misura in cui ogni autentica letteratura aspira a cambiare il mondo cambiando la percezione del mondo del lettore, che è l’unico modo in cui la letteratura può cambiare il mondo […]
Javier Cercas, Il punto cieco
Tutto questo non significa che il romanziere non possa o perfino non debba avere (o recuperare) passioni ideologiche, credenze salde e convinzioni forti; significa che quelle passioni, credenze e convinzioni non devono essere semplicemente trasferite nel romanzo, facendone un loro veicolo o una loro illustrazione: il romanzo deve piuttosto metterle in questione, minarle, rielaborarle e trasformarle nel carburante della propria contraddittoria complessità.
Questo è il senso politico del romanzo, in senso dell’azione politica che è scrivere.
Ti lascio con il bellissimo finale di Cercas, che guarda al senso della politica stessa: quella tensione a costruire un mondo diverso.
Un mondo in cui, come nei romanzi del punto cieco, l’ultima parola l’abbiamo noi. Voi e io.
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testi a cui faccio riferimento:
- Milan Kundera, L’arte de romanzo (tr. dall’inglese mia)
- Walter Siti, Contro l’impegno
- Javier Cercas, Il punto cieco (tr. ed. Guanda)
Letture consigliate (col punto cieco):
- Il processo di Franz Kafa
- La storia di Elsa Morante
- Cronorifugio di Georgi Gospodinov
- Limonov di Emmanuel Carrère
- Bruciare tutto di Walter Siti
- Le vergini suicide di Jeffrey Eugenides
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