Una delle tante frustrazioni che mi capitano quando scrivo di realtà viene dall’impressione che la mia coscienza non sia abbastanza vigile per cogliere ogni volto e ogni mutamento del mondo. Quello che riesco a catturare è solo una minuscola parte, un livello circoscritto, di tutto l’intricato sistema di legami e azioni che rendono quello che vedo esattamente ciò che vedo.
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Italian Linux Society
Rileggendo la storia di una bicicletta di nome Oscar ho avuto una ralizzazione sui progressi che si fanno qualche volta a conoscere il mondo circostante.
Circa un anno fa, quando è arrivato il mio computer ricondizionato e ho scoperto quel problema col suo kernel e Linux Mint (lo accenno nel post) la sensazione era di non avere nessuno a cui chiedere aiuto o consiglio, né qualcuno con cui potermi andare a lamentare senza dover spiegare perché è così importante per me usare Linux. Insomma, mi sentivo incompreso e sconsolato.
Qualche giorno fa ho scoperto per caso un’organizzazione chiamata Italian Linux Society, con una sede a Torino (ILS Torino) e in diverse altre città. Queste persone tengono uno sportello una volta alla settimana nella casa di quartiere di San Salvario dove aiutano le persone volenterose ma non autonome a capire, a usare, e ovviamente anche a installare i sistemi Linux.
Non mi sono ancora rivoltə allo sportello, perciò non posso dire molto, però in un certo senso questo porta alla massima potenza quello di cui parlavo alla fine di quello stesso articolo su Oscar, a proposito del ruolo della comunità (altrove direi della società civile) nell’aiutarci a scegliere e rendere sostenibili e orrizontali le tecnologie, proprio come diceva il già citato Ivan Illich e più di recente Carlo Milani.
+1 Sogni nel cassetto: smartphone con Linux Ubuntu Touch.
(Capisco i limiti, ma spero sempre che queste note, oltre che alla mia memoria, possano essere utili anche ad altre persone, quindi clicca i link, naviga, esci dal mio blog e vai a scoprire modi diversi di fare le cose. Bye!)
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Una bicicletta libertaria
Ivani Illich odiava le tecnologie. Tutte, dal computer fino alla macchina a vapore. Più che odiarle forse le temeva; temeva la dipendenza dagli esperti che le controllano e dalle fonti di energia che le alimentano. Per questo aveva un’opinione tutto sommato buona della bicicletta.
Ho imparato tardi ad andare in bicicletta. La mia migliore amica, che era di ben quattro mesi più giovane di me, mi prendeva in giro quando, intorno ai sette o otto anni, correva su e giù per il vialetto con la sua bicicletta nuova fiammante, e io dietro, in sella alla sua vecchia biciclettina con ancora le rotelle di sicurezza.
A posteriori, mi rendo conto di come sia la mia amica che Ivan Illich avessero ragione. La bicicletta è uno straordinario veicolo di libertà. Da un lato ti lega all’ambiente, ti espone al rischio e alla presenza dell’inevitabile ed enigmatico altro, che sia umano, non umano o atmosferico. Dall’altro lato, è la maniera più immediata di vivere una socialità sufficientemente ampia e variegata da avere bisogno di diversi spazi in cui svilupparsi, ma abbastanza intima da consentire uno spostamento quotidiano e del tutto indipendente. Allargare le sfere sociali quel tanto che basta a potersi ancora sorprendere; comprimere le distanze, ma non troppo da perdere la misura e il rispetto per lo spazio.
Negli ultimi giorni ho attraversato almeno dodici spazi fisici e sociali completamente diversi tra loro, contaminati è vero, ma pur sempre disomogenei. Per intenderci, la misura di questa disomogeneità è la difficoltà a riconoscere in me stesso dentro uno spazio la stessa persona che attraversa uno qualunque degli altri, e di conseguenza un accenno di imbarazzo a dover spiegare di volta in volta: ma tu cosa ci facevi là?
In mezzo tra l’uno e l’altro spazio non c’è il vuoto pneumatico, ma strade tutte buche, viali alberati, ponti presidiati dall’esercito, locali, piazze, persone, parcheggi, attese al semaforo dove i ragazzi si tengono per mano. C’è mondo tra un luogo e l’altro, tanto che anche quel tra inizia a sembrare un luogo in sé, abitato. C’è uno spazio compresso ma ancora intellegibile, fatto di cose che mi riguardano. Non voglio attribuire il merito di tutto a una bicicletta di nome Oscar, ma anche ignorare il mezzo tecnologico sarebbe un errore. Ho la scelta, ho la possibilità, e insomma la libertà.
Chi mi ama mi segua è vero solo in alcune condizioni. Come per esempio quando hai una bicicletta e una città densa in cui muoverti, e il privilegio, ad oggi utopico, di poter disporre come vuoi del tuo tempo.
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Consigli di Climate fiction
Una miniera di consigli di lettura a tema Climate Fiction e Solarpunk, in questo episodio del podcast La mano sinistra con ospite Franco Ricciardiello:
Nominati speciali:
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Pedagogia postumanista
L’amico Loris, detto MetaMe, ha di recente pubblicato due articoli sulla pedagogia post-umanista all’interno dei quali si trovano dei passaggi veramente illuminanti, e utili in senso politico anche per chi come me di pedagogia ne sa ben poco.
Tutte le correnti pedagogiche del passato pensavano di “umanizzare” le persone educandole, separandolo dalle altre creature, completamente estranee ad un processo simile. La principale conseguenza è una società ancora basata sul vecchio paradigma, radicata all’interno di metodi educativi arretrati.
Le risposte nate per fronteggiare la crisi sono principalmente tre. Abbiamo l’antropocentrismo pedagogico forte, che ripropone tali idee al fine di umanizzare gli educandi ed evitare una presunta spersonalizzazione della pedagogia. Poi, la sua versione debole, avente come obiettivo l’autonomizzazione degli individui e la l’integrazione in un mondo pluralista. Infine, il post-antropocentrismo pedagogico, che si decentra dell’umano valorizzando il “non umano”.
– Da Pedagogia e orizzonte post-umanista, l’alba di un nuovo paradigma pt.1
In tal modo l’umano, che rientra nella sfera “sociale”, è distinto dal “materiale”, ovvero il non-umano, ma le sue sfere si ibridano nella “materialità”.
– Da Pedagogia e orizzonte post-umanista, l’alba di un nuovo paradigma pt.2
A quest’ultimo punto dobbiamo tornare con alcune letture sul materialismo radicale dei non-viventi, come Ghosh e Jane Bennett.
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Gli sciamani non ci salveranno
“Perché gli sciamani non ci salveranno? Forse perché nel modo in cui “noi” rileggiamo lo sciamanesimo (depolicitizzandolo) diventa totalmente digeribile nella società del tardo capitalismo che ci opprime quotidianamente?”
“… le forme di alterità vengono sottoposte a una profilassi che spesso le rende inoffensive, trasformandoli in modellini leziosi, figure frivole dove la loro stranezza diventa attrattiva. Soprattutto sono muti, in quanto gli è stata tolta la possibilità del contraddittorio.”
Un articolo interessante sul tema: Gli sciamani non ci salveranno (Tascabile)
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Lo zero waste è per i ricchi?
Stamattina sono andatx in un negozio sfuso. Ho comprato 500ml di aceto balsamico e un deodorante da 100ml in vetro a rendere. Ho speso 19 euro.
Lo zero waste è una pratica politica che riguarda il nostro rapporto con il consumo, con la produzione, con le nostre necessità e quelle della collettività di cui facciamo parte e, in ultima istanza, con il capitalismo.
Per questo penso che sia non solo accettabile, ma anche eticamente e politicamente coerente boicottare i negozi che speculano sulla moda del prodotto sfuso (e di solito anche biologico). Capisco che uscire dalla grande distribuzione comporta sempre dei costi superiori, e che parte di questi costi proviene da una considerazione maggiore della sostenibilità umana e non umana. Ma se questa maggiore attenzione si traduce in una totale insostenibilità economica, allora dovremmo accettare che la soluzione dei negozi zero waste è quella sbagliata, e che probabilmente non abbiamo una soluzione di mercato da opporvi.
Detto altrimenti, bello lo zero waste, ma se può essere solo una scelta di consumo che alcun3 si possono permettere, allora non serve a niente.
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Aggiornamento RSS
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Software Autonomy
Digital Justice paragona alcuni dispositivi come iPhone e Oculus a dei giardini cintati da mura. A parte il fatto che nessun giardino dovrebbe essere recintato, il problema sono i vincoli imposti all’uso delle tecnologie da parte delle aziende produttrici.
In 60 secondi cos’è la Software Autonomy e perché è importante:
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Il mito della risonanza
Da un nuovo progetto di Joan Westenberg arriva uno spunto sui contenuti e il modo in cui li abbiamo pensati finora, che (spoiler) potrebbe essere sbagliato.
La sfida – andare a prendere ciò che accomuna ogni essere umano come fa la grande letteratura, ma condensandolo nel flash di un reel – è stata vinta al prezzo dell’invenzione del cosiddetto “lavoro creativo” (come status) con conseguente estrazione, dell’ingegnerizzazione del processo, e dell’estensione del giudizio sul prodotto a cui niente può più sfuggire (né l’arte, né la comunicazione politica, né i rapporti interpersonali). Ma soprattutto, questa enfasi sul produrre contenuti che “ci parlino” sul piano emotivo, che siano importanti per noi e sul buono storytelling, ci ha portat3 – alla prova dei fatti – a produrre tonnellate di contenuti tutti uguali.
Anche se non condivido del tutto gli obiettivi di Joan Westenberg (come “la vera innovazione” e “farsi amare davvero” da qualcun3 per i propri contenuti), credo che tocchi un punto fondamentale:
The psychology of resonance is a trap. It’s a pop-psychology airport book luring us towards the safe, the familiar, the easily digestible. But real breakthroughs, true innovation, meaningful art – these things come from swimming against the current, not with it.
Fuck crafting content that resonates. Focus instead on creating work that challenges, that provokes, that dares to be different.
In questo momento sto sperimentando il valore politico e di crescita del porsi domande difficili. Ma in generale, trovo che questo sia un ottimo spunto per approcciarsi alla scrittura in modo radicalmente diverso.
Ti lascio qui il link.
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Fungi Foundation
Di recente il National Geographic ha aggiunto il regno dei funghi nella sua definizione dei viventi. A parte la mia personale simpatia, tutti i modi (conosciuti) per cui i funghi sono fondamentali sono raccontati nel sito di Fungi Foundation e sul canale Youtube.
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Riciclabile
Aggettivo quasi del tutto privo di in significato proprio.
È la parola magica che, apposta sul packaging, possibilmente in verde e preceduta da “100%”, rende giustificabile la produzione di qualcosa che poteva non essere prodotto. Il suo potere a lungo termine è di permetterci di non mettere in discussione le nostre abitudini e i nostri modi di consumo in virtù del fatto che qualcun altro, di maggiore peso, se ne farà carico al posto nostro. (Per vederne un altro esempio qui una relazione).
Ovviamente si tratta di un umile tentativo di far entrare l’ambiente nel discorso pubblico, sempre che ci riesca in tempi di relativa pace ecologica. Certo è bizzarro che proprio i soggetti economici, contro il loro interesse, sollecitino la società civile a interessarsi a un problema politico.
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In quanto
Okay non è una parola in senso stretto. Comunque diciamo, “In quanto”: locuzione usata quando c’è bisogno di sollevare meccanicamente il livello di un testo scritto. Di solito l’operazione fallisce.
Sono accettabili solo le espressioni: “qualcosa in quanto tale”, “in quanto persona coinvolta ritengo…”, e in generale quando la nostra locuzione sostituisce “come” e non “perché”. In tutti gli altri casi anatemi.
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Luoghi veri
Uno dei miei più grandi imbarazzi quando stavo iniziando a scrivere era questo: ero costrettə ad ambientare le mie storie in provincia, perché era l’unico luogo che conoscevo.
(altro…)
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Tram di Torino
A chi compra l’auto elettrica per risolvere i problemi ambientali, noi si risponde con questo sito assolutamente non responsivo: Tram di Torino
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Le domande difficili
Un giorno ci siamo trovat3 a parlare dei nostri corpi politici e delle nostre esperienze più profonde. Così, con semplicità, tra un fumetto e una tisana, abbiamo scoperto che tra noi eravamo capaci di farci anche le domande più difficili tipo: hai mai pensato di tornare indietro?
Poi il mese scorso sono successi due Trans* Talk, ne abbiamo parlato e abbiamo deciso di rifarlo. Non saranno dei talk, ma dei laboratori, che imparano dalla pratica dell’autocoscienza in uno spazio confidenziale ma non separatista, denso ma anche conviviale, dove porci collettivamente domande difficili.
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Consumismo
Sostantivo maschile che esiste solo nel capitalismo industriale. Ma l’aspetto più interessante è un altro.
In un libro del 1984 intitolato Il mondo delle cose. Oggetti, valori, consumo, Mary Douglas e Baron C. Isherwood osservano che pensare al consumo secondo una prospettiva economica non dice nulla sul perché le persone consumano o iper-consumano, o sul perché al contrario risparmiano. L’oggetto di consumo, sia esso durevole come un vestito o effimero come un viaggio, andrebbe guardato con una lente sociale. Come insegna l’interazionismo simbolico, infatti, il suo significato emerge da ciò che l’oggetto è in grado di comunicare di noi all3 altr3.
Secondo questa prospettiva, una dimensione che lasciamo fuori quando ci occupiamo di consumismo è quella degli oggetti come mezzi di comunicazione. Il consumismo, come problema di giustizia sociale e ambientale non ha una soluzione tecnica né economica, non è una questione che tocca solo l’offerta o la domanda. Senza sminuire il problema e le responsabilità, potremmo forse imparare ad approcciarci in un modo non individualizzante e non colpevolizzante, a partire da questa domanda: quando consumiamo un oggetto, che cosa abbiamo bisogno di comunicare attraverso di esso?
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“Sono un comunicatore” o “lavoro nella comunicazione”?
L’annosa domanda. C’è Sarah Jaffe con Il lavoro non ti ama perennemente sul comodino, a ricordarmi che non solo io non sono il mio lavoro, ma anche che non vorrei diventarlo. Dall’altra parte però c’è Goffman (che ho ripubblicato proprio oggi) e il fatto che comunque il lavoro è una parte importante non solo della mia quotidianità, ma proprio della mia identità. Dall’altra parte ancora (eh sì, questo è un ring con tre angoli) c’è un’idea politica che, contrariamente a quanto mi hanno insegnato, e cercando come posso di andare incontro all’ideale della società della cura, mi inviterebbe a non vivere il lavoro come un compartimento stagno. Vale a dire, le relazioni che passano dal lavoro sono comunque relazioni tra persone prima che tra ruoli, anche se ci sono di mezzo i soldi, e magari chissà, viverle in questo modo potrebbe addirittura aiutarci a depotenziarli un poco.
Nel mezzo ci sono io, che ho deciso di presentarmi come blogger, professionista, studente e attivista – ma solo perché so ne potrei aggiungere all’infinito. È come quando scatti una foto a delle persone che ballano. E comunque imparare a convivere con la parzialità delle istantanee è un buon esercizio di queering.
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Il contagio dei blog
Da dove viene la parola blog? Io non lo sapevo, poi ho letto questo post di Vittorio Marchis e l’ho scoperto.
Questo perché lə miə partner Ema ha cominciato a frequentare il corso di Antropologia della tecnica di Marchis. Un argomento bello bello in cui, senza saperlo, continuo a imbattermi (prima o poi ne scriveremo nel giardino punk).
Comunque uno dei compiti del corso era proprio fare un blog, e quindi oggi abbiamo fatto un blog. In realtà io ho fatto solo un po’ di supporto morale, e all’occorrenza ho sprigionato il potere del CSS. È stato bello, e qui c’è il blog di Ema.
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È uscito il nuovo singolo di Walter Cavallo
Si chiama Mi vuoi sposare? ed è dedicato alla sua compagna Alessandra (che per la cronaca ha detto sì).
Insieme abbiamo realizzato l’artwork che fa da copertina al brano e al singolo. Ascoltalo su YouTube o qui:
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Vuoti a rendere
No, stavolta non è per l’ecologia, ma per il diritto alla casa.
Ho deciso di dare una mano anch’io nella promozione della campagna Vuoti a rendere, una delibera di iniziativa popolare per proporre un approccio istituzionale al problema abitativo della nostra città. Per i prossimi mesi sarà aperta una raccolta firme per portare il testo al Comune di Torino. La partecipazione ai tavoli di lavoro è ancora aperta a tutte le associazioni e a chiunque abbia piacere di dare attivamente una mano.
Spread the (good) news!
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Ci vediamo domenica al Gruppo Giovani!
Il laboratorio si chiama Trans* Talk, ed è un’esperienza tutta nuova che proverò a fare insieme all3 giovani di Arcigay Torino.
Quindi se hai meno di 28 anni e vuoi imparare qualcosa di inaspettato sui generi e sulle persone trans*, ci vediamo domenica 11 febbraio alle 16:00 al Gruppo Giovani, in CasArcobaleno, via B. Lanino 3 a Torino. Qui il post
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Assemblaggio in cors*
Come ogni nuovo pezzetto che si va aggiungendo, non è che le cose funzionino al primo colpo.
Artesia (il mio template) non supporta i custom types in modo coerente. Ci sono due tipi di persone: quelle ragionevoli che trovano un’alternativa usando i post types che abbiamo a disposizione, e quelle che cambieranno il template. Quelle che aprono la porta e quelle che sfondano il muro.
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Ciao!
Questo è il primo contenuto dello Speed Journal. Questa sezione serve a raccogliere tutti i contenuti e le suggestioni che incontro lungo la strada, ma che non sono ancora pronti per diventare un articolo.
È una pratica che prende ispirazione dai giardini digitali. Se ti interessa sapere di più sull’argomento ho parlato del valore dei digital garden con quell3 di giardino punk, per iniziare un giardino classico con Jekyll qui trovi la mia guida.